PIANTO PER LA MORTE DI
IGNAZIO SANCHES MEJIAS
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NUOVA MIA LETTURA
registrata il 20 gennaio 2025
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Per accompagnare la mia voce di novantenne
ho scelto mie immagini e dipinti di Pablo Picasso. Il commento musicale è stato
acquisito da post in YouTube nel canale di Roberto Fabbri, che ha eseguito
brani inediti di commento ad opere di Garcia Lorca del chitarrista Mario Gangi.
I video sono in YouTube dove ci sono altri miei video con mie letture.
Il poema di Federico Garcia Lorca si compone di quattro parti che pubblico separatamente complete di testo in italiano.
Nell'ultimo video l'unione.
IL COZZO E LA MORTE
La pietra è
una fronte dove i sogni gemono
senz’aver acqua curva né cipressi ghiacciati.
La pietra è una spalla per portare il tempo
Con alberi di lagrime e nastri e pianeti.
Ho visto
piogge grigie correre verso le onde
alzando le tenere braccia crivellate
per non esser prese dalla pietra stesa
che scioglie le loro membra senza bere il sangue.
Perché la
pietra coglie semenze e nuvole,
scheletri d’allodole e lupi di penombre,
ma non dà suoni, né cristalli, né fuoco,
ma arene e arene e un’altra arena senza muri.
Ormai sta
sulla pietra Ignazio il ben nato.
Ormai è finita. Che c’è? Contemplate la sua figura:
la morte l’ha coperto di pallidi zolfi
e gli ha messo una testa di scuro minotauro.
Ormai è
finita. La pioggia entra nella sua bocca.
Il vento come pazzo il suo petto ha scavato,
e l’Amore, imbevuto di lacrime di neve,
si riscalda in cima agli allevamenti.
Cosa dicono?
Un silenzio putrido riposa.
Siamo con un corpo presente che sfuma,
con una forma chiara che ebbe usignoli
e la vediamo riempirsi di buchi senza fondo.
Chi increspa
il sudario? Non è vero quel che dice!
Qui nessuno canta, né piange nell’angolo,
né pianta gli speroni né spaventa il serpente:
qui non voglio altro che gli occhi rotondi
per veder questo corpo senza possibile riposo.
Voglio veder
qui gli uomini di voce dura.
Quelli che domano cavalli e dominano i fiumi:
gli uomini cui risuona lo scheletro e cantano
con una bocca piena di sole e di sassi.
Qui li
voglio vedere. Davanti alla pietra.
Davanti a questo corpo con le redini spezzate.
Voglio che mi mostrino l’uscita
per questo capitano legato dalla morte.
Voglio che
mi insegnino un pianto come un fiume
ch’abbia dolci nebbie e profonde rive
per portar via il corpo di Ignazio e che si perda
senza ascoltare il doppio fiato dei tori.
Si perda
nell’arena rotonda della luna
che finge, quando è bimba dolente,
bestia
immobile;
si perda nella notte senza canto dei pesci
e nel bianco spineto del fumo congelato.
Non voglio
che gli copran la faccia con fazzoletti
perché s’abitui alla morte che porta.
Va, Ignazio. Non sentire il caldo bramito.
Dormi, vola, riposa. Muore anche il mare!
Anima
assente
Non ti
conosce il toro né il fico,
né i cavalli né le formiche di casa tua.
Non ti conosce il bambino né la sera
perché sei morto per sempre.
Non ti
conosce il dorso della pietra,
né il raso nero dove ti distruggi.
Non ti conosce il tuo ricordo muto
perché sei morto per sempre.
Verrà
l’autunno con conchiglie,
uva di nebbia e monti aggruppati,
ma nessuno vorrà guardare i tuoi occhi
perché sei morto per sempre.
Perché sei
morto per sempre,
come tutti i morti della Terra,
come tutti i morti che si scordano
in un mucchio di cani spenti.
Nessuno ti
conosce. No. Ma io ti canto.
Canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia.
L’insigne maturità della tua conoscenza.
Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca.
La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria.
Tarderà
molto a nascere, se nasce,
un andaluso così chiaro, così ricco d’avventura.
Io canto la sua eleganza con parole che gemono
e ricordo una brezza triste negli ulivi.